Bystander effect: quando tutti guardano ma nessuno interviene

Molti di voi ricorderanno di certo lo sconcertante episodio di cronaca nera riguardante la morte di Alika Ogorchukwu, venditore ambulante brutalmente ucciso a Civitanova Marche. Ricorderete anche che l’omicidio è avvenuto in pieno giorno, in una strada trafficata della città e alla presenza di numerosi passanti che – quasi incuranti e passivi – hanno ripreso la scena dell’aggressione con i propri cellulari, ma senza prestare alcun tipo di soccorso alla vittima, limitandosi esclusivamente a gridare alcune parole all’aggressore per farlo desistere dal suo comportamento violento.

Purtroppo, l’omicidio di Alika non rappresenta l’unico avvenimento in cui le persone coinvolte assistono a una scena di emergenza senza intervenire. In che modo è possibile comprendere da un punto di vista psicologico questo fenomeno? È sufficiente far mero riferimento al “menefreghismo collettivo”? In realtà no: l’evento accaduto a Civitanova Marche può trovare una spiegazione in quello che la psicologia sociale definisce “effetto spettatore”, anche detto apatia degli astanti.

I primi studi

L’effetto spettatore (bystander effect, in inglese) è un fenomeno psicologico e sociale che si osserva in tutte quelle situazioni in cui un individuo – coinvolto in una situazione di emergenza (es un’aggressione) – non offre alcun aiuto alla persona in difficoltà, quando sono presenti anche altre persone che assistono alla medesima circostanza.

I primi studi sull’apatia degli astanti risalgono agli Anni ’50, anche se è a partire dal 1968 che questo fenomeno ottiene un’attenzione maggiore grazie al lavoro realizzato dagli psicologi sociali Jhon Darley e Bibb Latané, che lo sperimentarono per la prima volta in laboratorio. Lo studio dei due ricercatori fu ispirato da un episodio di cronaca nera, l’omicidio della giovane donna newyorkese Kitty Genovese, accoltellata a morte a pochi metri da casa sua da Winston Moseley. La stampa dell’epoca sostenne che numerosi vicini (circa 38) si affacciarono alle proprie finestre allertati dalle urla della ragazza, ma nessuno di loro osò intervenire in sua difesa: anche se articoli di giornale successivi ridimensionarono di molto il numero dei testimoni, resta tuttavia il fatto che nessuno degli “spettatori” ha fatto qualcosa per aiutare la povera ragazza.

Darley e Latané (1969) hanno condotto alcuni esperimenti in cui riproducevano una situazione di emergenza, in cui una donna aveva bisogno di essere soccorsa. Dai risultati ottenuti, è emerso che: se i soggetti coinvolti nell’esperimento assistevano da soli alla situazione di emergenza, circa il 70% di loro interveniva per aiutare la donna; alla presenza di altri “spettatori” nella stanza, invece, solo una bassa percentuale di loro si adoperava per prestare soccorso alla vittima.

I due autori hanno concluso che, in condizioni di questo tipo, la presenza di altri spettatori riduce i sentimenti individuali di responsabilità sociale: ovvero, all’aumentare del numero di persone presenti in una situazione, ogni individuo si sente meno obbligato ad aiutare (diffusione di responsabilità). Il grado di responsabilità individuale, inoltre, dipende da tre fattori: 1) quanto lo spettatore sente che la persona sia meritevole di aiuto; 2) dalla competenza dello spettatore; 3) dalla relazione tra lo spettatore e la vittima.

Inoltre, Bibb e Latané si sono rifatti anche al principio dell’influenza sociale, secondo cui uno spettatore osserva anche le reazioni delle altre persone in una situazione di emergenza per capire se gli altri pensano che sia necessario intervenire o meno. Se la persona vede che gli altri non stanno reagendo alla situazione, allora interpreterà la circostanza non come un’emergenza e dunque non interverrà (principio di ignoranza pluralistica).

I meccanismi neuronali alla base dell’effetto spettatore

Recenti studi effettuati con risonanza magnetica funzionale hanno mappato l’attività neurale degli individui coinvolti in una situazione di emergenza in funzione del numero di persone presenti (cfr. Hortensius & de Gelder, 2014). I partecipanti osservavano una donna anziana che si accasciava a terra da sola o in presenza di uno, due o quattro persone coinvolte nell’esperimento: dai risultati è emerso che quando i partecipanti hanno assistito a emergenze con un numero crescente di persone, si manifestava una diminuzione dell’attività nelle regioni cerebrali importanti per la preparazione al soccorso, ovvero il giro pre e postcentrale e la corteccia prefrontale mediale.

La corteccia prefrontale mediale è coinvolta in una serie di processi emotivi e sociali: alcuni studi hanno effettuato una mappatura dell’associazione situazione-risposta (Euston, Gruber, & McNaughton, 2012), che codifica il legame tra un evento (per esempio, un’emergenza) e le risposte corrispondenti (un comportamento di aiuto). La sua attività è stata collegata anche comportamenti prosociali (cfr. Waytz, Zaki, & Mitchell, 2012), come l’aiutare amici e sconosciuti nella vita quotidiana.

A questo proposito, Zanon et al. (2014), hanno dimostrato l’importanza della corteccia prefrontale mediale nel comportamento di aiuto durante una situazione di pericolo di vita, attraverso la riproduzione di uno scenario simile a quelli utilizzati nei primi studi sull’effetto spettatore. In un esperimento che faceva ricorso alla realtà virtuale, i partecipanti dovevano evacuare un edificio che aveva preso fuoco: nel compiere questa azione, incontravano una persona intrappolata che avevano la possibilità di aiutare. Gli individui che si sono offerti di soccorrere questa persona hanno mostrato una maggiore attività della corteccia prefrontale mediale rispetto a quelle che si sono astenute dall’intervenire.

Ulteriori fattori coinvolti nell’apatia degli astanti

Altre ricerche (vedi Moskowitz, 2002), avanzano nuove prospettive teoriche che vanno ad integrare anche gli aspetti emotivi, motivazionali e disposizionali. In particolare, la simpatia e il disagio personale sono stati identificati come due fattori disposizionali che influenzano il comportamento di aiuto (Eisenberg & Eggum, 2009). Mentre la simpatia è una risposta orientata all’altro che comprende sentimenti di compassione e cura per un’altra persona, il disagio personale si riferisce ai sentimenti di disagio e angoscia provati da un osservatore, che sono orientati verso sé stesso.

In presenza di altre persone, inoltre, l’angoscia personale può essere rafforzata, portando così alla dominanza di modelli di azione fissi di evitamento e congelamento. Questa nuova prospettiva suggerisce, infine, che l’apatia degli astanti possa derivare da una reazione emotiva riflessiva che dipende molto anche dalla personalità degli individui che si astengono dal dare aiuto.

 

Bibliografia

Darley, J.M. & Latané, B. (1968). Bystander intervention in emergencies: diffusion of responsibility. Journal of Personality and Social Psychology, 8(4), 377-383.

Euston, D. R., Gruber, A. J., & McNaughton, B. L. (2012). The role of medial prefrontal cortex in memory and decision making. Neuron, 76, 1057–1070. doi:10.1016/j.neu ron.2012.12.002

Hortensius, R., & de Gelder, B. (2014). The neural basis of the bystander effect—The influence of group size on neural activity when witnessing an emergency. NeuroImage, 93(Pt. 1), 53–58. doi:10.1016/j.neuroimage.2014.02.025

Latané, B. & Darley, J. M. (1969). Bystander apathy. American Scientist, 57(2), 244-268.

Waytz, A., Zaki, J., & Mitchell, J. P. (2012). Response of dorsomedial prefrontal cortex predicts altruistic behavior. The Journal of Neuroscience, 32, 7646–7650. doi:10.1523/ JNEUROSCI.6193-11.2012

Zanon, M., Novembre, G., Zangrando, N., Chittaro, L., & Silani, G. (2014). Brain activity and prosocial behavior in a simulated life-threatening situation. NeuroImage, 98, 134–146. doi:10.j. neuroimage. 2014.04.053.

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